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L'altra faccia dell'allevamento intensivo

Dal Regno Unito all'Italia, dalla Spagna al Brasile e agli Stati Uniti, CIWF ha incaricato fotografi di spicco di ritrarre persone gravemente colpite dalle tragiche conseguenze dell'allevamento intensivo.

Unisciti al movimento END.IT per chiedere ai leader mondiali di trasformare urgentemente il nostro sistema alimentare e mettere fine all’allevamento intensivo.

Fotografia in bianco e nero di una donna di mezza età con gli occhiali (Kate Milson) che guarda nell'obiettivo tenendo la testa tra le mani

Paradiso perduto

“Ho dovuto trasferirmi due volte a causa dell'allevamento intensivo nella contea di Powys, ed è stato devastante. Dopo il primo trasloco, ho investito tutto quello che avevo nell'acquisto di 'Hope Chapel', un edificio bellissimo ma fatiscente, solo per ricevere un'altra lettera che annunciava il progetto di un allevamento di 90.000 polli, proprio accanto. Mi sono sentita completamente a pezzi, impotente.

I miei sogni di avere finalmente una casa sono stati distrutti dal rumore, dall'odore e dal traffico costanti, e la crudeltà sugli animali mi ha dato il voltastomaco. Non volevo vivere accanto a un allevamento, era più vicino a casa mia che a quella dell’allevatore!

Il rumore mi svegliava di notte, così ho smesso di dormire; lo stress mi ha causato attacchi di panico e ho dovuto interrompere il mio lavoro di artista. Mi sentivo come una vespa in un barattolo: intrappolata, arrabbiata e disperata”.

KATE MILSON

POWYS, GALLES

Foto: Richard Dunwoody/CIWF

Foto a mezzo busto di una donna anziana (Ros Bradbury) seduta nella sua casa, che guarda nell'obiettivo

Un futuro per i miei nipoti

"Ci sono circa 20 milioni di polli nella contea dell’Herefordshire: ho fatto il calcolo, è un abominio.

Gli allevamenti intensivi creano ambienti orribili per le comunità locali. La gente non può aprire le finestre e il fiume Wye è stato avvelenato, e vengono finanziati con i nostri soldi! Non pagano le tasse immobiliari o sui veicoli, mentre noi paghiamo per riparare le strade che distruggono e per ripulire i fiumi che hanno devastato. E loro cosa fanno? Producono cibo scadente e disgustoso e fanno vivere agli animali vite miserabili.

I polli dovrebbero stare all'aperto, a beccare il cibo, non a beccarsi tra di loro, le vacche dovrebbero pascolare nei campi, non essere tenute tutta la vita al chiuso. Gli allevamenti intensivi devono essere fermati. Spero solo che il Governo prenderà sul serio il cambiamento climatico o non credo che ci sarà un mondo in cui vivere per i miei nipoti”.

ROS BRADBURY

KINGTON, HEREFORD, INGHILTERRA

Foto: Richard Dunwoody/CIWF

Foto di una donna anziana (Camilla Saunders) seduta sulle scale di casa sua con la testa poggiata sulle mani

Fiumi di lacrime

"Quando ho saputo dell'allevamento di polli pianificato a Knighton, sono rimasta scioccata: il Consiglio di Powys aveva dichiarato l'emergenza climatica e sappiamo che l'allevamento intensivo produce un quarto di tutti i gas serra, causa sofferenze orribili ai polli e sta uccidendo il pianeta.

La perdita di biodiversità sulla Terra è devastante: piango per gli animali che non conoscerò o vedrò mai. Una volta c'erano così tante libellule e insetti che danzavano lungo il fiume, ora sono fortunata se ne vedo due.

Sono cresciuta in campagna, e ci lamentavamo del coro degli uccellini all'alba, era così rumoroso; ora ne abbiamo nostalgia.

Cosa vogliamo per le generazioni future? Paesaggi devastati, distrutti per il profitto a breve termine, pieni di prigioni per animali? Se gli esseri umani riuscissero a coltivare una maggiore empatia per tutte le creature della Terra e ad accettare la nostra interdipendenza, saremmo in grado di coesistere e smetteremmo di fare la guerra alla Terra”.

CAMILLA SAUNDERS

POWYS, GALLES

Foto: Richard Dunwoody/CIWF

Foto in bianco e nero di una donna e un uomo anziani seduti nella lorom casa (Maria Jose e suo marito) che raccontano la loro storia

Impatto profondo

"Abbiamo scelto di vivere nella natura, di non sentire altro che il canto degli uccelli, e siamo rimasti inorriditi quando abbiamo saputo del progetto di un allevamento di maiali vicino alla nostra frazione del Comune di Huesca. Sapevamo cosa significava, l'odore è sconcertante, e cosa sarebbe successo al nostro bellissimo ruscello? Al nostro stile di vita? Mi sono sentita minacciata e attaccata. Non ero mai stata un'attivista, ma dovevo fare tutto il possibile per fermare gli allevamenti.

Gli animali sono trattati come prodotti in una fabbrica e il nostro paesaggio è stato distrutto: in Aragona si vedono solo allevamenti di maiali. Il suolo è saturo di nitrati, l'aria è inquinata e non si può bere l'acqua. L'accesso all'acqua potabile è un diritto umano!

Siamo in prima linea contro gli allevamenti di maiali, per fermare questa corsa verso il disastro. Vogliono schiacciarci, ma io combatterò fino alla fine”.

MARIA JOSE

HUESCA, ARAGONA, SPAGNA

Foto: Richard Dunwoody/CIWF

Foto in bianco e nero di una donna anziana (Maura Cappi) seduta nella sua casa, che guarda nell'obbiettivo

Potere assoluto

"All'epoca non avevamo le conoscenze scientifiche che abbiamo ora dopo anni di battaglie, ma sapevamo una cosa: un allevamento intensivo come questo avrebbe avuto un impatto enorme sulla nostra comunità, ed era totalmente anacronistico, soprattutto nella nostra regione dove c’era un divieto per nuovi allevamenti di suini.

Il governo locale ci ha definito terroristi. Ci hanno detto che, associando i rischi per la salute agli allevamenti intensivi, avevamo spaventato la gente. Si parla tanto di riduzione delle emissioni, ma poi si continuano ad autorizzare progetti come questo.

Ci sentiamo ingannati. Molti di noi sono demoralizzati a causa della disparità di potere: loro hanno gli esperti, i tecnici, gli avvocati, noi fatichiamo a trovarli. Ma noi cittadini paghiamo: paghiamo le tasse al Comune, paghiamo gli impatti che stiamo subendo e paghiamo i consulenti per tutelare noi stessi, i nostri diritti, gli interessi pubblici e il bene comune".

MAURA CAPPI

SCHIVENOGLIA, LOMBARDIA, ITALIA

Foto: Richard Dunwoody/CIWF

Foto in bianco e nero di un uomo di mezza età (Jessie Jarmon) a casa sua, in piedi, che guarda nell'obbiettivo

Acque oscure

“Quando vado alle riunioni della nostra comunità, mi dicono che tutti i batteri che ci sono dentro e fuori casa, nell'acqua, ovunque controllino, sono legati all'allevamento di maiali.

Mi sembra di vivere in un capannone per maiali per quanti ce ne sono qui. Se si guarda una mappa e si vede quanti ce ne sono nella Contea di Duplin, non c’è un posto dove si possa evitarli.

Vorrei che ripulissero l'aria e l'acqua. Le stanno analizzando e continuano a trovarci cose dentro. Basta che le puliscano. Tutto qui.

Tutti quelli con cui ho parlato dicono che ha avuto un impatto su di loro, ma molti non lo dicono. Hanno paura di perdere il lavoro. Sono solo spaventati.

Spero che prendano e ripuliscano tutto. Se ci vorrà tanto tempo forse io non ci sarò più, ma ho ancora dei figli che potrebbero voler tornare a vivere qui”.

JESSIE JARMON

NORTH CAROLINA, USA 

Foto: Molly Condit / CIWF / We Animals Media

Foto a mezzo busto di una donna (Osvalinda) che si asciuga una lacrima da sotto gli occhi mentre racconta la sua storia.

Il male fatto dagli uomini

“Non siamo supereroi, non possiamo incassare così tanti colpi senza uscirne distrutti. Le nostre condizioni psicologiche hanno influenzato il nostro benessere fisico. C'è come un muro che ci impedisce di ottenere il minimo indispensabile: vivere in pace, essere in salute, avere cibo decente sulla nostra tavola.

Quando abbiamo creato questa associazione, per lavorare senza bruciare la foresta, senza usare pesticidi, ci hanno mandato i loro mercenari. Mi sono sentita come se fossi già morta. Vedevo la mia stessa tomba, è stato terribile [il giorno in cui sono apparse fuori dalla porta di casa due tombe meticolosamente scavate, con tanto di croci].

Ora c'è anche l'estrazione mineraria illegale. Stanno già distruggendo il fiume e uccidendo i pesci, proprio vicino alla nostra terra. Io dico che i più grandi criminali da additare sono i taglialegna. Mi sembra che loro e gli allevatori abbiano aperto la strada a questi minatori. E ora la nostra lotta dovrà essere anche contro di loro.

Non siamo fatti di ferro”.

OSVALINDA MARIA ALVES PEREIRA (03.06.68 - 12.04.24)

BELEM, BRASILE 

Foto: Mauricio Monteiro Filho/CIWF

Foto in bianco e nero di un uomo di mezza età a torso nudo (Paulo) seduto a casa sua che racconta la sua storia

Macchine per uccidere

"Sono nato nella foresta. I miei genitori sono vissuti e morti qui. Qui hanno cresciuto la nostra famiglia. Qui ho cresciuto la mia famiglia. C'erano animali da cacciare, c'erano pesci nei torrenti, c'erano frutti. Ma da quando è arrivata la soia, intorno al 2004, prima in piccole coltivazioni e più recentemente su scala industriale, noi indigeni viviamo nell’angoscia.

La propaganda governativa promuove l'agricoltura industriale, dicendo che genera reddito e posti di lavoro. È tutta una bugia. Non crea posti di lavoro, perché è tutto meccanizzato.

Le macchine abbattono la foresta. Le macchine seminano. Le macchine raccolgono. Le macchine caricano il grano sui camion. Le macchine lo portano dai camion alle navi che lo porteranno all'estero. Le macchine fanno tutto, così non c'è bisogno degli esseri umani.

Stiamo assistendo alla distruzione della nostra foresta, alla morte dei nostri animali, alla scomparsa dei nostri frutti, delle medicine native che ci curavano".

PAULO DA SILVA BEZERRA

VILLAGGIO AÇAIZAL, MUNDURUKU DEL TERRITORIO INDIGENO DELL'ALTOPIANO, CITTÀ DI SANTAREM, PARÁ, BRASILE

Foto: Mauricio Monteiro Filho/CIWF

Foto a mezzo busto di un uomo di mezza età (Manoel) con un copricapo colorato che guarda nell'obbiettivo. Sullo sfondo la sua casa è sfocata

Futuro perduto

"Nessuna somma di denaro al mondo vale quanto questa terra. Questa terra è la cosa più preziosa per noi. Ho imparato dai miei genitori che versare false lacrime è motivo di vergogna. Ma quando si lotta per ciò che è giusto, non c'è niente di più nobile che piangere. [Manoel piange inconsolabilmente]

Anche i bianchi stanno morendo, a causa di questa avidità. Perché la distruzione della nostra foresta distrugge il nostro futuro, di noi indigeni, così come anche il futuro di tutti gli altri.

Siamo addolorati e in lacrime nel vedere i nostri luoghi sacri distrutti, disboscati dall'irresponsabilità dei bianchi. Così, la nostra esistenza e quella di tutti i popoli del Brasile sono minacciate".

MANOEL BATISTA DA ROCHA

VILLAGGIO AÇAIZAL, MUNDURUKU DEL TERRITORIO INDIGENO DELL'ALTOPIANO, CITTÀ DI SANTAREM, PARÁ, BRASILE

Foto: Mauricio Monteiro Filho/CIWF